Antichi Dei

Antichi Dei

Antichi dei


I calchi in gesso raccolti nella Gipsoteca dell’Università di Pavia si riferiscono a statue importanti della scultura greca e tra essi vi sono diverse rappresentazioni di divinità e di eroi protagonisti della mitologia, soggetto privilegiato dell’arte antica. Nella statuaria la rappresentazione dei personaggi divini è di rado narrativa, fatta esclusione per alcuni gruppi scultorei, ma dei ed eroi sono resi pienamente riconoscibili al pubblico dall’aspetto e dagli attributi identificativi

Ares: La Gipsoteca (SMA) ospita una copia in gesso di piccole dimensioni dell’Ares Borghese, copia romana di un originale dello scultore Alcamene, databile ca. al 430 a.C., caratterizzato da elmo, scudo e spada.

Prassitele: Apollo Sauroktònos: Nella Gipsoteca dell’Università di Pavia si trova una copia in scala 1:2 delll’Apollo Sauroktònos, il cui originale (350 a.C.) è attribuito allo scultore ateniese Prassitele. Un Apollo che mostra gli elementi fondamentali dello stile del maestro: il ritmo sinuoso con cui la figura si dispone nello spazio, la ponderazione ‘sbilanciata’ e l’accentuata giovinezza del dio, sottolineata dalla resa anatomica particolarmente morbida.
Ermete in riposo

Autore

Lisippo o la sua scuola

Formatore

Carlo Campi (Milano)

Nella Gipsoteca dell’Università di Pavia si trova il calco di una famosa statua di bronzo d’epoca romana, rinvenuta a Ercolano nel 1758 e conservata al Museo Nazionale di Napoli. La statua rappresenta Ermete seduto su una roccia, e il giovane araldo è ben riconoscibile dall’unico attributo presente (che è anche uno dei suoi più caratteristici) cioè dai calzari alati, che l’identificano subito come il velocissimo messaggero degli dei.L’originale greco, da cui deriva l’eccellente copia ercolanese databile al I sec. a.C., prospetta un interessante problema di attribuzione, perché viene comunemente ricondotto a un modello della fine del IV sec. a.C., da riferire al celebre scultore Lisippo o alla sua scuola. La paternità di Lisippo non è peraltro suffragata da fonti letterarie o epigrafiche, ma si basa su considerazioni esclusivamente stilistiche, come quelle che sottolineano la padronanza pienamente tridimensionale delle relazioni spaziali e l’adozione di un canone di proporzioni slanciate a governare la costruzione della figura, ed evocano la formula programmatica del Maestro, che aveva inteso raffigurare il corpo umano “non come dev’essere, ma come si vede” (Plin., N. H. XXXIV, 65), cioè secondo le modalità della naturale percezione ottica.

Materiale

Gesso

Tipologia

Copia

Ambito

Antico

Originale

330-320 a.C.

Copia

inizi del XX sec. d.C.

Giove di Otricoli

Autore

Briasside

Nella Gipsoteca dell’Università di Pavia si trova il calco della testa di Giove ritrovata durante gli scavi di Otricoli (Umbria), promossi da Pio VI tra il 1776 e il 1784, e oggi conservata ai Musei Vaticani. La monumentale testa è una copia romana del I sec. d.C., in marmo di Luni, di un originale greco: al momento del ritrovamento si pensò addirittura che potesse trattarsi di una copia del celebre Zeus crisoelefantino, realizzato da Fidia per il tempio del dio a Olimpia, ma studi successivi hanno riportato la testa di Otricoli a un archetipo della fine del IV sec. a.C., attribuibile allo scultore cario Briasside, noto anche per la sua partecipazione al Mausoleo di Alicarnasso. Questo archetipo si potrebbe forse ricondurre all’opera più famosa dell’artista, cioè alla colossale statua di Zeus/Serapide, realizzata per Tolemeo I Sotèr ad Alessandria: l’opera, distrutta in antico, ci è tuttavia nota da un passo di Clemente Alessandrino (Protrept. IV, 48, 5); e alcuni tratti, come la folta capigliatura e la barba a nette ciocche, l’osso frontale prominente, lo sguardo infossato e le labbra socchiuse, a creare un vigoroso effetto coloristico, rimandano in effetti allo stile di Briasside. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, il Giove di Otricoli non sarebbe una copia fedele del Serapide di Alessandria, piuttosto una sua tarda rielaborazione romana.

Materiale

Gesso

Tipologia

Copia

Ambito

Antico

Originale

fine del IV sec. a.C.

Copia

inizi XX sec.

Tra le copie in gesso di piccole dimensioni presenti nella Gipsoteca (SMA) vi è anche quella di una statua molto celebre nell’immaginario comune, cioè l’Afrodite da Melos, un originale ellenistico, databile al II sec. a.C., conservato a Parigi, Louvre.

Allo stesso gruppo tipologico di Afroditi ellenistiche si può ascrivere anche il calco del solo busto dell’Afrodite di Capua, il cui originale è conservato a Napoli (Museo Archeologico Nazionale).

Tra le opere presenti in Museo, va ancora ricordata la copia in marmo pario della testa (II sec. d.C.) della testa velata dell’Afrodite Sosandra di Calamide (460 a.C.), che fa riferimento ad un diverso tipo di Afrodite: non sensuale, ma protettiva.

Afrodite Sosandra

Autore

Calamide

Nella collezione archeologica dell’Università di Pavia è conservata una delle sole otto copie romane note, di dimensioni non ridotte, della testa dell’Afrodite Sosandra, opera dello scultore Calamide (ca. 460 a.C.) che si trovava nei Propilei dell’Acropoli di Atene, come ricordano Pausania (I, 23, 2) e Luciano (Im. 4, 6; Dial.Mer. 3,2). La statua bronzea originale, ovviamente intera, rappresentava un’Afrodite ausiliatrice, “che salva gli uomini” (sosandra, appunto): solenne figura femminile tutta avvolta da un mantello di stoffa pesante, offriva uno dei più alti esempi di quello che è stato definito “panneggio architettonico”. Il tipo statuario intero ci è noto da un buon numero di copie, tra cui quella celebre da Baia, riprodotta qui nel Museo su un pannello fotografico a grandezza naturale, collocato accanto alla testa marmorea. La copia di Pavia, datata nel II sec. d.C., per la sua altissima qualità è stata spesso citata in letteratura, ma una sua piena valorizzazione stilistica è relativamente recente e si deve a uno studio di Cesare Saletti del 1999, che ne sottolineava “pur nel perfetto impianto simmetrico e nel rigoroso gioco delle ondulazioni, il senso di massa ... carica di una sua corposa materialità”. Mancano purtroppo notizie attendibili della provenienza, e si sa soltanto che la scultura entrò nella collezione universitaria in data compresa fra il 1822 e il 1828.

Materiale

Bronzo

Tipologia

Originale

Ambito

Antico

Originale

ca. 460 a.C.

Copia

II sec. d.C.

Musei Civici
Sezione di scultura moderna e Gipsoteca

Il Museo

Il nuovo allestimento al secondo piano del Castello Visconteo presenta una raccolta di oltre 200 sculture del XIX e XX secolo, perlopiù in gesso: calchi di opere antiche accanto a bozzetti e opere definitive. I calchi, provenienti dalle Scuole di Disegno e Incisione e di Pittura (attive a Pavia dal 1838 al 1934), erano utilizzati per lo studio della statuaria classica: si va dal gruppo del Laocoonte al Torso del Belvedere, dal Fauno danzante alla Venere de' Medici. Il percorso prosegue presentando sculture in gesso, terracotta, bronzo e marmo realizzate da artisti di formazione lombarda: dalle prove romantiche di Giovanni Spertini al tocco scapigliato di Medardo Rosso ed Ernesto Bazzaro, dal simbolismo di Romolo Del Bo al liberty di Alfonso Marabelli, per finire con il realismo di Filippo Tallone e i bronzi di Emilio Testa, noto anche come medaglista.


3 motivi per visitarlo

Un allestimento nuovo e moderno all'interno di un castello del '300, da cui si vede il miglior panorama della città

Un percorso che si snoda tra copie in gesso di celebri statue classiche e opere originali realizzate tra ‘800 e ‘900 da maestri come Medardo Rosso, Giovanni Spertini, Romolo Del Bo, Alfonso Marabelli, Filippo Tallone

Un approccio trasversale alla scultura, che focalizza l'attenzione su materiali, forme, funzioni

Venere de'Medici
Afrodite/Venere pudica in completa nudità

Il gesso è tratto da una scultura greca in marmo di I sec. a.C., originale o forse copia/libera interpretazione di un originale greco, oggi perduto, di III sec. a.C. L'autore è lo scultore Cleomene di Atene. La Venere, acquistata da Francesco de’ Medici nel 1584, è oggi esposta a Firenze alla Galleria degli Uffizi. La dea appartiene al tipo iconografico della Venus Pudica, ovvero seminuda o in completa nudità con le braccia protese a celare parte del corpo. Il soggetto, ignudo, si presenta con la gamba sinistra tesa, a reggere il peso della dea, e con la gamba destra piegata. Seno sinistro e pube sono coperti dalle braccia. Il collo, carnoso, è sensibilmente proteso in avanti, come anche parte del dorso. L’acconciatura si mostra ben curata, con fluenti ciocche ricciolute raccolte sulla sommità del capo e all’altezza della nuca. A lato della gamba sinistra, si trova come sostegno per la statua un delfino con due eroti. Il basamento, in corrispondenza della porzione anteriore, reca infine l’iscrizione su due righe: ΚΛΕΟΜEΝΗΣ ΑΠΟΛΛΟΔΩΡΟΥ | ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΟΙΗΣΕΝ, ossia “Cleomene, (figlio) di Apollodoro, Ateniese fece”. La Venere racchiude in sé le linee guida della lezione prassitelica (IV sec. a.C.): la morbidezza dei piani delle forme e la delicatezza e flessuosità della figura.

Materiale

Gesso

Tipologia

Copia

Ambito

Antico

Originale

I secolo a.C.

Copia

XIX secolo d.C.

Il percorso è concluso.
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